Addentrarsi nel tema della psicosi cercando di tracciarne gli aspetti caratteristici in pochi spunti di riflessione rischia di essere impresa ardua e di cadere nella riduzione eccessiva. L’esperienza psicotica rappresenta una delle forme più complesse della sofferenza psichica per chi la vive, per chi la vede manifestarsi in una persona cara e per chi si confronta con essa in ambito clinico.
I disturbi psicotici si manifestano come una rottura del confine fra il mondo interno (fatto di pensieri, fantasie, desideri, paure, emozioni, rappresentazioni di sé stessi e degli altri) ed il mondo esterno, la realtà condivisa dalla maggior parte delle persone.
Psicosi: i sintomi
Le manifestazioni sintomatologiche dei disturbi psicotici comprendono la sfera del linguaggio, della cognizione (il modo di pensare), delle emozioni e del comportamento. Secondo il DSM, il Manuale utilizzato per la diagnosi delle psicopatologie, i sintomi si raggruppano in due categorie: sintomi positivi e sintomi negativi.
Fra i sintomi positivi troviamo
- allucinazioni
- deliri
- pensiero disorganizzato
- agitazione
Fra i sintomi negativi
- mancanza di iniziativa
- isolamento sociale
- apatia
- insensibilità emotiva (“appiattimento”)
I sintomi sono una manifestazione della sofferenza dell’individuo, ed in quanto tale il modo, la frequenza, la combinazione e l’alternanza degli stessi rispecchia l’unicità della persona, ed il momento di vita che sta attraversando. La sintomatologia cambia da persona a persona e nella stessa persona varia in base alla presenza di fattori di stress (o, al contrario, protettivi) durante la sua vita.
La diagnosi, l’etichetta che per convenzione viene utilizzata per definire le psicosi, in realtà dice ben poco della persona che ne vive l’esperienza e, cosa ancor più importante, spesso non ci é utile per comprenderne il vissuto. Se la definizione e la conoscenza dei meccanismi sottostanti alla psicosi sono sicuramente strumenti importanti per osservarla dall’esterno, ciò che offre una possibilità di gettare un ponte fra due mondi che appaiono inconciliabili é la comprensione, la volontà di mettersi ad osservare il mondo dal punto di vista dell’altro, di seguirne i percorsi di significato che lo portano a fare, dire, pensare in un dato modo.
Per anni non solo il pensiero comune, ma anche quello scientifico, hanno sostenuto l’incomprensibilità del mondo della psicosi, di questo “mondo altro” nel quale vediamo immerse, lontane e irraggiungibili le persone che ne sono affette.
Normalità e psicopatologia vengono spesso rappresentate come due realtà separate nettamente da una linea di confine determinata dalla assenza o presenza di sintomi; guardare alle esperienze come dei sintomi di malattia é solo un modo per osservarli, un modo che non sempre é utile o di aiuto. Sempre più ci si sta spostando verso la presenza di un continuum fra una buona ed una compromessa salute mentale, una linea continua sulla quale ciascuno di noi si muove verso l’alto o verso il basso in diversi momenti della propria vita. Eventi di vita stressanti possono avere un impatto significativo su come pensiamo e sui sentimenti che proviamo, così come le opportunità di supporto che abbiamo nei momenti di fragilità e le occasioni per dare senso a quello che ci sta accadendo.
Questo vale anche per esperienze che ci appaiono “strane” o “incomprensibili” come udire voci o avere pensieri fissi e “bizzarri” caratteristici delle esperienze deliranti.
Un esempio: lo stato di estrema sospettosita’ conosciuto come paranoia può essere visto come un’estensione del sentimento di sospettosita’ che ognuno di noi può aver provato nella vita. Possiamo aver provato, ad esempio, un senso di estrema vigilanza tornando a casa la sera da soli in una strada poco illuminata, stando attenti a qualsiasi segnale esterno (i rumori della strada, la presenza o meno di persone sul nostro cammino) giustificando la nostra allerta con un senso latente di paura o di vulnerabilità. Il nostro livello di allerta con buona probabilità si sarà abbassato nel momento in cui siamo entrati in casa, o abbiamo raggiunto un luogo più frequentato e illuminato. Per comprendere un vissuto paranoideo dobbiamo amplificare quel senso di sospettosita’ e di paura al punto da leggere gran parte degli stimoli esterni come fonte di pericolo, al punto da perdere la capacità di discernere cosa rappresenta un pericolo realistico e cosa invece è in grado di rassicurarci. Una paura che non riesce ad essere contenuta e si espande, mantenendoci costantemente in uno stato di allerta, per il quale anche il rumore dei passi del vicino del piano di sopra, lo sguardo del passante o una notizia al telegiornale sono segnali di un pericolo imminente che sta per colpirci.
Molte persone “normali” (che si pongono nella “norma”, nella media delle esperienze condivise dai più) possono avere esperienze inusuali: per esempio a molti può essere capitato di sentire una voce senza che ci fosse nessuno nelle vicinanze. Recenti ricerche suggeriscono che in media una persona su tre ha almeno una convinzione che può essere considerata “paranoica”. Circostanze estreme, come la deprivazione sensoriale o di sonno, possono portare a diversi disturbi, inclusi paranoia e allucinazioni visive, in persone che non hanno mai avuto precedentemente tali esperienze. Alcune persone che sentono voci o che hanno visioni considerano le loro esperienze come spiritualmente arricchenti, dando loro un significato condivisibile in una data cultura.
Le esperienze psicotiche possono essere per taluni estremamente angoscianti e fonte di sofferenza, per altri possono avere un significato benevolo che le aiuta nei momenti di maggiore difficoltà. Spesso nella stessa persona, in momenti diversi o contemporaneamente, possono assumere entrambe le valenze: esperienze terrifiche o rassicuranti.
Anche manifestazioni così lontane dal vivere comune come i deliri possono rappresentare la creazione di un mondo Altro alternativo a quello condivisibile da tutti, spesso sperimentato come intollerabile e spaventoso, una difesa dolorosa verso una realtà che si fatica ad affrontare con le proprie risorse interne.
Se il mondo esterno, con le sue richieste, le sue regole, le sue mediazioni necessarie diventa una sfida inaffrontabile, ci si ripiega in un mondo interno fatto di produzioni proprie (di paure, di desideri, di “fantasmi”) che diventano la realtà, che prendono corpo e consistenza al punto da sostituire il comune modo di osservare le cose del mondo. Comprendere un’esperienza psicotica significa essere disposti ad allungarsi verso un modo totalmente diverso dal proprio di leggere la realtà, andando a ricercare il significato puramente soggettivo di quella esperienza, che ridona senso a comportamenti apparentemente insensati. Comprendere non significa “colludere”, aderire al pensiero dell’altro, ma accoglierlo come una possibilità alternativa alla nostra, per quanto strana o bizzarra possa essere, e da quel punto di incontro costruire un nuovo linguaggio comprensibile ad entrambi.
Compito assai difficile non solo per chi vive con un familiare immerso nella psicosi, ma anche per noi clinici, che dobbiamo essere disposti ad allungarci verso i pazienti scostandoci dalla sicurezza delle categorie diagnostiche, dai tanti testi letti nei percorsi formativi, dalle tecniche adatte ad un tale o talaltro sintomo. Come la psicopatologia fenomenologica suggerisce da molti anni, é necessario mettere tra parentesi (ma non dimenticare) le proprie convinzioni, la propria costruzione della realtà per poter cogliere quella della persona che abbiamo di fronte, soprattutto quando ci appare così tanto “aliena”, diversa dal nostro sentire. Per comprendere un’esperienza psicotica é necessario fare ciò che la persona che la vive non riesce a fare: ammettere la possibilità di un’alternativa alle proprie convinzioni.
*Chiara Mariasole Carugati, Psicologa, Psicoterapeuta, Gruppo DP&P
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